Arrestato Matteo Messina Denaro. La scalata, la latitanza e la cattura dell’ultimo capo di Cosa nostra

Matteo Messina Denaro è stato arrestato questa mattina, dopo 30 anni di latitanza.

A darne l’annuncio il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros, il reparto che ha curato l’operazione.

Era al bar della clinica Maddalena, in pieno centro a Palermo, mentre era intento a consumare la colazione.

L’ultimo capo di Cosa nostra si era recato per ricevere nel reparto oncologico le cure per un cancro di cui soffre.

Le indagini che hanno portato alla cattura sono state coordinate dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, e al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Teo Luzi, per congratularsi per l’arresto del boss.

“Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia”, così ha commentato la notizia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Piantedosi, soltanto la settimana scorsa in visita ad Agrigento aveva dichiarato “Mi auguro di essere il ministro che arresterà Messina Denaro”: alla luce di quanto accaduto oggi, certamente già era al corrente del fatto che la Procura di Palermo era sulle tracce del capomafia.

Appena appreso che la primula rossa siciliana è stata assicurata alla giustizia, Piantedosi ha detto: “Una giornata straordinaria per lo Stato e per tutti coloro che da sempre combattono contro le mafie”.

Matteo Messina Denaro era tra i latitanti più ricercati al mondo, ma si pensava che non si fosse mai allontanato dal territorio che controllava, protetto da una rete di connivenza cui appartenevano anche imprenditori di spicco.

Soprannominato “U siccu”, il magro, o “Diabolik”, era nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani.

A vent’anni era già il pupillo di Totò Riina

La sua carriera criminale iniziò nel 1989, con una denuncia per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. 

Ad aprire il fascicolo su di lui era stato il giudice Paolo Borsellino.

Da allora una lunga scia di sangue segnò la sua scalata: nel 1991 uccise Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina, “colpevole” di essersi lamentato  di “quei mafiosetti sempre tra i piedi”, con una sua impiegata, all’epoca amante di Messina Denaro.

Nel 1992 Messina Denaro era nel commando di mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, inviato a Roma per mettere a segno gli attentati, non andati a segno, per uccidere Maurizio Costanzo, e in quelli contro Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli.

Nel luglio 1992,  era tra gli esecutori dell’omicidio del boss di Trapani Vincenzo Milazzo. Pochi giorni dopo, lui stesso strangolò la compagna del boss, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. 

Era, poi, tra i mandanti di uno degli episodi più atroci della mafia siciliana: il sequestro e l’omicidio del dodicenne Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. Il ragazzino era figlio di  Santino Di Matteo, che stava collaborando con gli inquirenti nelle indagini sulla strage di Capaci.

Messina Denaro venne visto libero per l’ultima volta nell’agosto del 1993, a Forte dei Marmi, dove si trovava in vacanza. Era il periodo degli attentati dinamitardi che sconvolsero l’Italia: di quelle stragi ne era il mandante i insieme a Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Da quel momento iniziò la sua latitanza. Di lui si disse che aveva subito un intervento di chirurgia al viso, per cambiare le sembianze e, addirittura, dei polpastrelli, per eliminare le impronte digitali. Oggi conosceremo il suo volto attuale.

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